Percorso etimologico del termine Dono

Ciò che si dà volontariamente senza esigerne prezzo, ricompensa o restituzione. Dal latino dōnum (dono, dono votivo, l’atto del donare, offerta agli dèi, la cosa donata, regalo, onori funebri) e dal greco δῶρον [doron] (dono, regalo, offerta, voto sacro, imposta, tributo). Inoltre si trova il termine δόμα [doma] (dono). Interessante è il termine latino donatio che indica sia il dono, la donazione che l’atto del donare.

Il latino dōnum (anticamente danum) deriva dal sanscrito dāna(1) (l’atto di dare, dono comunicazione, insegnamento, restituzione, aggiunta, divisione) dalla radice DĀ (effetto della azione della luce, dare offrire)(2) e dal verbo dā, dadāti (dare, concedere, offrire, presentare, permettere)

Un altro valore della radice DĀ è rintracciabile in DVI(3) (ciò che si stacca dalla luce). Da quest’ultima radice derivano termini con i significati di attraversare (da cui dvāra che significa porta), due, tagliare, dividere. La scomposizione in D (luce) + V (propagazione) + I (luce in movimento, attimo, infinitesimale) riporta al significato della creazione, dove il creato è “immagine e somiglianza” del divino (Div, dyu).

Nella trasformazione del termine dāna nelle varie lingue si è perso il significato dato da DVI “propagazione del divino”. Si sono distinti pertanto due valori semantici, il primo più aderente al concetto di dono inteso come atto di dare spontaneamente senza alcun interesse e il secondo inteso come qualcosa da dare all’altro, visto come entità separata (dal significato di “due” della radice DVI), per ricevere qualcosa in cambio (regalia, regalo). Da qui inizia un percorso semantico che a volte si separa e a volte si fonde.

Il valore più profondo del termine dono è espresso in sanscrito dai termini dānapāramitā e dharmadāna.
Dānapāramitā può essere tradotto in italiano come “Generosità Trascendente”. Nella tradizione buddhista la dānapāramitā è considerata la prima perfezione del percorso del bodhisattva, ovvero la “perfezione di carità”(4).
Dharmadāna (pali dhammadāna, tibetano chos-kyi sbyin-pa) può essere tradotto in italiano come Generosità Spirituale:

“Chi si impegna verso l’umanità con valori unicamente fisici, otterrà in cambio del denaro; chi elargisce sensazioni sarà ripagato con sensazioni di grande generosità che serviranno soltanto a gonfiare il suo io; chi si coinvolge a livello mentale accumulerà del karma positivo; chi utilizza l’intelletto riceverà il compenso di un futuro migliore; chi dona con amore toglie un po’ di sporcizia dalla Porta dell’Anima e sarà facilitato nell’aprirla; chi invece dona senza alcuna intenzionalità, ma solo per il bene altrui, mette da parte del merito per la realizzazione. La “generosità spirituale” non deve portare meriti, ma è la natura dell’essere che, sentendosi un agente Divino nel suo Divino operare (Īśvara), deve fare ciò che è. Cos’è la generosità spirituale? È la nostra natura, è la generosità dell’Assoluto con Se Stesso, perché l’agente Divino nel suo Divino operare fa Se Stesso con Se Stesso”(5).
NOTE:

 

(1) ^ Dāna ha in sé sia il significato di dono che di regalo.

(2) ^ Cfr. la radice sanscrita da (che dà, che dona, che produce).

(3) ^ DVI deriva dalla radice DĀ tramite la forma secondaria DAY (dare con continuità, condividere, partecipare, distribuire, avere compassione).

(4) ^ Cfr. C. C. Chang Garma La dottrina buddhista della totalità. Astrolabio Ubaldini. Roma, 1978.

(5) ^ Dallo “Studio della parola dharma” di Danilo Speranza.