La Povertà

Nella definizione del termine “povertà”, e nell’elaborazione della relativa metodologia, si deve tener conto della complessità del fenomeno e della sua multi-dimensionalità variabile nel tempo e nello spazio.

I primi studi sulla povertà furono condotti in Inghilterra verso la fine dell’800, quando ci si rese conto che la povertà era una condizione strutturale alla quale non ci si poteva sottrarre semplicemente con uno spostamento verso risorse più disponibili. Il lavoro domestico, l’uso comune della terra, ecc. erano state travolte dall’affermazione della produzione industriale e dalle relazioni di dipendenza salariale e, quindi, dal mercato.

In questi studi si cercò di stabilire un criterio fisso con il quale misurare la povertà, quale condizione di chi non riusciva ad assicurarsi la sopravvivenza fisica, e di definire un paniere di beni necessari per mantenere la salute e l’efficienza fisica(1). Dando un prezzo ai beni di questo paniere si poté stabilire una soglia, la cosiddetta “linea di povertà”: era considerato povero chi poteva disporre di risorse al di sotto di questa soglia.

Identificando “scientificamente” il minimo di sussistenza e il concetto “povertà assoluta”, queste ricerche dettero legittimazione culturale a un problema di cui, fino ad allora, si erano negate le radici sociali. La spiegazione convenzionale della povertà attribuiva la colpa al soggetto stesso, che non sapeva spendere oculatamente il suo denaro e non perché ne aveva troppo poco. Il punto fondamentale diveniva, perciò, quello di delineare, tramite una metodologia rigorosa, la dimensione quantitativa e di identificarne le cause.

Fissato un livello di reddito, il livello di sussistenza minimo, al quale questa ipotesi individualistica non potesse essere più proposta, si identificarono le cause principali della povertà: il reddito insufficiente, la disoccupazione, la vecchiaia, la morte o la malattia del capofamiglia e l’insufficiente paga dei lavoratori occasionali.

La definizione di povertà “assoluta” e l’assunto che potesse essere utilizzata come criterio universale furono messi sempre più in discussione dai considerevoli mutamenti socio-economici del secondo dopoguerra.

Si affermò la tesi che differenti gruppi di popolazione hanno bisogni diversi e la scelta dei beni da inserire nel paniere è arbitraria e standardizza le modalità di consumo senza tener conto dei gusti, delle abitudini, delle tradizioni culturali, del ciclo di vita, dell’età o delle tipologie familiari.

Si arrivò così alla conclusione che la povertà è una condizione di vita determinata più dai fattori sociali che da quelli fisici ed è, quindi, “relativa” e non assoluta. Nell’analisi della povertà s’introducono, perciò, anche altri parametri come: le condizioni abitative, la salute, l’educazione e l’attività di ricreazione.

Dagli anni ’70, il contesto di maggior benessere ha permesso di concentrare gli studi più sul problema dell’equità distributiva e sulle cause del persistere di situazioni di malessere e disuguaglianza(2). Nasce così il concetto di “povertà soggettiva” basata sulla percezione di deprivazione che le stesse persone vivono.

Attualmente l’approccio più diffuso, almeno a livello ufficiale, è quello che misura la povertà esclusivamente sulla base del reddito (o dei valori di spesa)(3) tramite due criteri, quello della “povertà assoluta” e quello “povertà relativa”.

NOTE:

(1) ^ Rowntree Seebohm, Poverty: A Study of Town Life, Macmillan, London, 1901.
(2) ^ Townsend, Peter, The Concept of Poverty, Heinemann, London, 1974.
(3) ^ Il criterio di “povertà assoluta” definisce povera una famiglia che non ha reddito sufficiente ad acquistare un paniere di beni predefinito. Il valore del paniere è calcolato, dall’Istituto di rilevazione, per famiglie di varia numerosità. Il criterio di “povertà relativa” è, invece, legato al reddito medio della collettività International Standard of Poverty Line (Linea Standard Internazionale di Povertà): una famiglia di due persone è definita povera se ha un reddito minore o uguale a quello medio pro capite della collettività considerata.