L’Artista e la Psicopatologia

Gustave Courbet – Le Désespéré


Nella storia della psicologia diversi autori si sono occupati del rapporto dell’arte con la psicopatologia(1). A molti artisti, infatti, sono state attribuite patologie mentali che avrebbero influenzato il loro modo di vedere il mondo e di decodificare il proprio vissuto e, di conseguenza, la loro produzione(2).
Alcuni hanno espresso la loro personalità in maniera violenta, con esistenze disordinate, fino a commettere omicidi (come Caravaggio). Hanno bruciato le energie nella manifestazione della loro individualità, in vite travagliate e autodistruttive alimentando, nell’immaginario collettivo, lo stereotipo dell’artista “pazzo”, “dannato”, dedito alle droghe, all’alcool e al libero sfogo delle pulsioni.

La psicoanalisi considera la manifestazione creativa strettamente connessa alle dinamiche dell’inconscio.
Per Sigmund Freud alla base di alcune forme nevrotiche vi sono meccanismi equivalenti a quelli delle espressioni artistiche. Pertanto il suo interesse si focalizza sull’artista, poiché la sua creazione diviene un mezzo per comprendere meglio la psiche umana. Sempre secondo Freud, la funzione terapeutica dell’arte risiede nella possibilità che l’artista ha di sublimare i propri conflitti (consci e inconsci) nella sua creazione. L’opera d’arte è, infatti, il risultato di un processo difensivo che rende accettabile, anche socialmente, l’espressione pulsionale. Costruendo un ponte tra il mondo reale e quello fantastico dell’illusione, l’arte permette la soddisfazione simbolica e sostitutiva del desiderio.

Per Carl Gustav Jung, invece, la funzione terapeutica dell’arte non riguarda solo la sessualità, poiché ogni manifestazione artistica attinge anche agli archetipi dell’inconscio collettivo per poi plasmarli secondo il contesto storico. Attraverso l’espressione creativa, i complessi inconsci si evidenziano (mantenendo in gran parte il loro linguaggio) e l’anima tormentata dell’uomo riesce a gestirsi e monitorarsi. Così l’arte diviene un ausilio per ripristinare un proprio equilibrio psicologico.
Erich Neumann, allievo di Jung, afferma che l’artista si espone alla tensione dialettica tra conscio e inconscio, tra collettivo e individuale. La persona creativa, servendosi dell’inconscio personale e del suo caos, accede al mondo degli archetipi.
L’artista osserva la realtà da una diversa prospettiva svelandone elementi nuovi. Nel ricrearla valuta e gestisce il reale in base ai propri parametri, e si avvicina allo psicotico quando, superando il confine della realtà, considera più vera la propria fantasia. L’artista però deve trascendere le problematiche individuali a beneficio di un’espressione universale dei conflitti propri della natura umana(3).
L’artista e il folle hanno in comune la creatività e la capacità di dare forma alla propria realtà psichica, prima che a quella oggettuale. Entrambi sono accompagnati dalla solitudine nel loro percorso introspettivo. Infatti, la solitudine esistenziale può portare sia alla pazzia, al lasciarsi andare alle pulsioni e al delirio, sia a mobilitare le energie per andare in ogni direzione, scoprire il nuovo e aprirsi a un altro livello(4).
Secondo Jung l’insoddisfacente, e spesso tragico, destino personale di tanti artisti è il risultato dell’insufficiente capacità di adattamento e del senso di inferiorità dovuti al ripiegamento verso l’interno, al distacco dal mondo e alla svalutazione dei rapporti con l’esterno. Si ha così un ritorno a uno stadio narcisistico in cui la dimensione relazionale è ridotta al minimo e la percezione del proprio io non può usufruire delle conferme dell’altro, ma solo dell’investimento nella sua opera. In questo modo nascono grandi opere accanto a forti disturbi psichici.

Uscendo da un’ottica psicanalitica, l’artista deve comunque gestire la grande quantità di energia presente nell’espressione creativa. Per fare ciò è necessario un sistema mentale stabile e funzionante. Altrimenti, l’energia si blocca alla seconda sfera (quella dell’io). Così si rischia di alimentare vissuti di arroganza in persone che nutrono la convinzione che per esser-ci si ha bisogno di essere conosciuti e riconosciuti.
Molti artisti sono infatti tendenzialmente presuntuosi, a volte rinchiusi in una specie di guscio per proteggersi e per proteggere la loro arte. L’interazione con l’esterno diviene così molto dolorosa e ambivalente. Ad esempio, inducendo un artista a credere di essere il migliore, il più bravo… si rafforza il suo io e si alimenta in lui la propensione a una maggiore separazione dagli altri e a una minore interazione con la realtà circostante. Le difficoltà relazionali si amplificano e il disagio psicologico che ne deriva ha spesso effetti autodistruttivi. Il libero passaggio dell’energia creativa e il relativo slittamento dall’espressione affettiva a quella cognitiva potrebbe essere anche impedito da un blocco energetico tra la terza e la quarta sfera, corrispondente a livello fisico all’area della gola. Ciò provoca il rimbalzo dell’energia alle sfere sottostanti determinando compulsività sessuale (prima sfera), eccessivo bisogno di autoaffermazione dell’identità dell’artista (seconda sfera) e disordini affettivi di vario tipo (terza sfera). Così l’artista non riesce a raccontare l’unicità del rapporto con l’Assoluto vissuto nell’esperienza interiore.

Al di là delle aberrazioni e delle patologie derivanti dagli stimoli “errati” dati dalla cultura dominante – che esalta l’individualità e l’affermazione personale – un artista, nella sua purezza, non dovrebbe essere commercialmente deviato, né condizionato da vani apprezzamenti(5), ma dovrebbe essere stimolato a volgere l’attenzione al proprio profondo affinché sia unione con gli altri.
Il vero artista, attraverso l’opera, reca il suo messaggio; tuttavia può accadere che, per il fatto di essere interiormente mutato e di avere una coscienza e una configurazione neuronale diversa, sia insoddisfatto della sua creazione, non riconoscendosi più in essa.

NOTE:

(1) ^ Si veda, ad esempio, Carotenuto A. La follia del genio. Sentieri: Itinerari di psicopatologia psicosomatica psichiatria. Anno I, n. 1, 2001. Edizioni ETS.

(2) ^ Bergia Cristina. L’Arte nella Malattia. Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science. 2009. On-line date: 2009-01-05.

(3) ^ Secondo Jung, infatti, l’essenza di un’opera d’arte risiede nell’elevarsi dalle singolarità personali e ‘di parlare con lo spirito e con il cuore allo spirito e al cuore dell’umanità’. In Jung C. G., 1950, Poesia e poesia, in La dimensione psichica, Boringhieri, Torino, 1972, pag. 84.

(4) ^ Per Jung, comunque, ogni persona può intraprendere il viaggio interiore (da lui definito ‘processo d’individuazione’) verso un nuovo assetto psicologico.

(5) ^ Beato l’artista che diviene famoso da morto, perché da vivo, potrebbe essere preda dell’io e del turbinare dei soldi!