Transfert e Controtransfert
Nella relazione di transfert, positiva o negativa, il soggetto ripropone la qualità del sentimento sperimentato nel rapporto con i genitori, riproducendone le dinamiche
Il termine transfert (o traslazione) è stato elaborato nell’esperienza psicoanalitica e sta a indicare il trasferimento sulla persona dell’analista dei conflitti intrasoggettivi del paziente. Con il termine controtransfert viene designato il transfert dell’analista nei confronti del paziente.
Il meccanismo del transfert consente di proiettare sull’analista i sospesi conflittuali delle relazioni intersoggettive reali o anche solo immaginarie che il paziente ha vissuto nell’infanzia. Nella relazione di transfert, che può essere positiva o negativa in base al tipo di sentimento provato (benevolo od ostile), il soggetto ripropone la qualità del sentimento sperimentato nel rapporto con i genitori, riproducendone le dinamiche.
Secondo Jung, il transfert è ascrivibile nel meccanismo della proiezione in cui si trasferiscono contenuti psichici inconsci che hanno bisogno di esprimersi. Nel transfert il vissuto emotivo viene proiettato sull’analista, che assurge a figura rievocativa delle dinamiche relazionali apprese in età infantile. È dunque un processo proiettivo dall’effetto fortemente distorsivo sui dati di realtà.
Il transfert, nelle sue forme negative, esprime la tendenza del paziente a usare l’analista senza una reale volontà di cambiamento perpetuando quel rapporto di dipendenza madre-figlio che caratterizza la sua specificità di complesso psicologico(1).
Il transfert negativo può avere una connotazione seduttiva, in quanto il paziente investe lo psicoterapeuta con la sua carica erotica allo scopo di sminuirlo nel suo ruolo di operatore di autonomia e sentirsi così giustificato a non cambiare. Può avere inoltre una connotazione “storica” in quanto il paziente, attraverso la relazione di odio e amore con lo psicoterapeuta, porta alla luce un contenuto affettivo storicamente riferito a un’altra situazione e persona. Il contenuto rimane intatto mentre viene spostato il riferimento sullo psicoterapeuta, costretto a divenire oggetto dell’investimento operato dal paziente.
Il transfert d’amore è invece basato su un sentimento di empatia. L’interazione paziente-analista non è giocata sulla reviviscenza di dinamiche complessuali all’interno delle quali opera una coazione a ripetere(2), sempre gli stessi schemi senza di fatto cambiare mai radicalmente, ma apre alla novità originale della vita. In questa prospettiva l’intervento d’aiuto è un atto d’amore che spinge l’individuo a rintracciare il suo Sé autentico.
Nel quotidiano delle relazioni affettive l’individuo tende a sperimentare vissuti transferali, memorie complessuali che affondano le radici nelle dinamiche relazionali apprese nelle prime interazioni significative della vita con l’adulto di riferimento. Quanto più la relazione affettiva è coinvolgente tanto maggiori sono le probabilità di sperimentare contenuti psichici inconsci condizionati dal transfert ed erroneamente ritenuti causati dall’esterno.
In particolare, in una relazione di aiuto si toccano le corde dell’io che smuovono antiche memorie di relazioni date o mancate, reali o fantasmatiche, che il soggetto porta dentro come criterio di lettura del reale. Il mancato o insufficiente sviluppo di una sana relazionalità affettiva comporta l’incapacità di cogliere l’autentico valore d’amicizia del gesto d’aiuto, che viene pertanto interpretato attraverso i filtri cognitivi ed emotivi dell’Io. Quest’ultimo, incapace di riconoscere il nuovo che lo approssima, lo riconduce alle consuete dinamiche difensive e transferali, stravolgendone il significato di atto di amicizia e di amore.
(1) ^ Il termine complesso, introdotto in psichiatria da Jung, indica un “insieme organizzato di rappresentazioni e di ricordi con forte valore affettivo, parzialmente o totalmente inconsci. Un complesso si costituisce a partire dalle relazioni interpersonali della storia infantile e può strutturare tutti i livelli psicologici: emozioni, atteggiamenti, condotte adattate”. Da Jean Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis. Enciclopedia della psicoanalisi. Vol. 1. Laterza. 2005.
(2) ^ Tale meccanismo di difesa può essere definito come un “processo incoercibile e di origine inconscia con cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose, ripetendo così vecchie esperienze senza ricordarsi il prototipo e con invece l’impressione di qualcosa che è pienamente motivato dalla situazione attuale”. Da Jean Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis. Op. cit.
Umberto Galimberti. Enciclopedia di Psicologia. Garzanti. Milano, 1999.