La relazione diadica

Madre-figlio: due poli di una stessa realtà

La diade(1) è un termine psicoanalitico introdotto da René Spitz per indicare la relazione madre-figlio nei primi anni di vita. Il neonato vive con la madre una relazione simbiotica sostenuta da una forte empatia e ne subisce l’organizzazione psicologica.
La diade è una sorta di realtà a due poli di cui uno, l’io del bambino, è in costante interazione con il secondo, l’io dell’adulto-madre, che può influenzare ogni azione.

La relazione diadica è un passaggio necessario nel processo di maturazione psicologica poiché il bambino è incapace di provvedere a se stesso. Il piccolo, per una necessità biologica di dipendenza, è costretto a svilupparsi in doppio, qualsiasi cosa voglia o faccia egli apprende dalla madre il modo di rispondere ai suoi bisogni; da lei acquisisce le strutture comportamentali e linguistiche.

Nel corso degli anni, affinché la relazione diadica non degeneri in patologia è indispensabile che la madre dia al figlio la possibilità di crescere, stimolandolo all’autonomia e all’indipendenza nel progressivo ampliamento degli orizzonti esistenziali. In caso contrario, la tendenza a ripetere gli stereotipi sociali, di cui la madre è soggetto trasmettitore, conduce alla progressiva regressione dell’individuo.
La relazione madre-figlio diventa patologica quando l’individuo vi resta incastrato, subendola come vittima o ponendosi come parassita. Crescendo, l’essere sente l’esigenza di amicizia, autonomia, amore, sesso, lavoro… ma i comportamenti appresi nell’antica diade non sono più sufficienti a rispondere alla complessità di questi nuovi bisogni.
Un esempio tratto dalla biologia può aiutarci a comprendere meglio gli effetti devastanti di tale limitazione psicologica: nei processi di divisione cellulare vi è una fase in cui si producono due nuclei all’interno della cellula, dal nucleo originario si forma un’altra unità che progressivamente si differenzia dalla prima fino alla separazione completa. In una relazione diadica patologica la separazione non giunge mai a maturazione pertanto la nuova cellula resta incastrata nella cellula madre, impossibilitata a crescere e svilupparsi a sua volta.

L’adulto bloccato in una relazione diadica patologica ripete in modo coatto, nel rapporto con gli altri, l’antico stile appreso dalla madre, l’unico che conosce. Pertanto non trovando il modo di soddisfare le sue necessità cade in frustrazione con possibili vissuti di rabbia, di aggressività e di rancore.

NOTE:

(1) ^ Dal latino tardo dyas, dal greco δυάς derivato di δύο (due).

FONTI:

Umberto Galimberti. Enciclopedia di Psicologia. Garzanti. Milano, 1999.